mercoledì 26 maggio 2010

Lasciami entrare


TRAMA

Oskar, un dodicenne timido e ansioso, è regolarmente vessato dai compagni di classe, senza che riesca mai a ribellarsi. Una notte, mentre fantastica su come vendicarsi, gli appare Eli, anche lei dodicenne, appena trasferita col padre nella casa accanto. La ragazza è pallida, ha uno strano odore ed esce solo quando è buio. In coincidenza con il suo arrivo, si verificano sparizioni inspiegabili e omicidi. Per un ragazzo come Oskar, affascinato dalle storie macabre, non ci vuole molto a capire che tra Eli e questi sanguinosi eventi esiste un legame.

Lasciami entrare è il film che decreta una distanza siderale e definitiva tra adolescenti e adulti. La insinua sottobanco, con precisione geometrica, applicando anche qui la forma (solo la forma) del genere: il vampiro come traslazione figurata dei giovani che si nutrono degli adulti, ne succhiano il sangue, li consumano. Grandi e piccoli sono categorie umane lontane, in conflitto complessivo e universale, che non si aiutano tra loro, ma collidono; in tal caso suona consapevole l’uso del doppio registro, la prosa tradizionale (le urla della madre di Oskar silenziate dalla musica) contro la trovata eversiva e disorientante (l’ostacolo visivo della porta nella vampirizzazione di Locke), allo scopo di ricreare un’altra lontananza, stavolta di tipo stilistico. Il divario ha poi un esatto corrispettivo narrativo, imprescindibile, nel personaggio interpretato da Per Ragnar: “cacciatore di cibo” a fin di bene, figura preconizzante, riassunto del futuro rapporto Oskar/Eli, questi dimostra come la possibilità sentimentale sia davvero tale solo in stato adolescenziale; quando si cresce i rapporti avvizziscono e seguono piuttosto dettati utilitari (“Ti servo solo a questo”), laddove la condanna è invecchiare vicino alla presenza di ciò che si è stati: Eli è lo spettro dei propri 12 anni. Così l’ex amante del vampiro, rassegnato, uccide alla ricerca della morte. In tanta tensione astratta, protesa verso continue vette ossimoriche (bianco e rosso, candore e turpitudine, latte e sangue), il simulacro prevale sui caratteri: l’immagine resistente al tempo, che porta la creatura a difendere gli altri da sé stessa, e quella attuale insopportabile, che impone di sfregiare un volto pur di non vederlo appassito. Anti-univoco nell’epoca della leggibilità, senza percorsi guidati ma aperto, applicato ai mostri veri, Adolescenza e Crescita, l’altissimo risultato di Alfredson è infine un saggio sulle possibilità di questo tipo di film. A memoria futura un teen movie in senso pieno, sia etimologico che profondo, velatamente esistenziale, quasi personale: il vampiro non è una costruzione mitica, è intima.

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1 commento:

  1. bellissimissimo! ho visto circa 3.876.953 film horror e questo è finito dritto in top ten! visto in lingua originale, non ho capito un cazzo ma sono riuscito a leggere sottotitoli e guardare il film tipo occhi da camaleonte.

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