sabato 30 gennaio 2010

Quadrophenia



Fotografia: Brian Tufano
Produzione: ROY BAIRD E BILL CURBISHLEY PER THE WHO A POLYTEL
Distribuzione: FILM 2 MEDUSA CIN (1980) - POLYGRAM FILMED ENTERTAINMENT VIDEO, L'UNITA' VIDEO
Paese: Gran Bretagna 1979
Genere: Drammatico, Sociale
Durata: 109 Min
SITO WEB

Londra, 1964. Jimmy è un membro di una banda di Mods (dall'inglese Modernists, giovani ben vestiti che guidano scooter italiani come Lambretta e Vespa). I Mods sono contrapposti ai Rockers, il cui stile è analogo a quello dei seguaci del rock and roll americano anni '50, vestiti con giubbotti di pelle in sella a grosse motociclette. Incompreso in famiglia e costretto a un lavoro da fattorino, Jimmy cerca la soluzione alle sue ansie giovanili all'interno della sua banda, insieme ai suoi amici Dave, Chalky e Spider facendo uso e abuso di alcol e di pillole "blu", anfetamina).

Tre giorni di festa, chiamata in inglese "Bank Holiday" sono il pretesto per portare all'apice la rivalità fra le due bande, che culmina con gli scontri a Brighton, cittadina della costa orientale britannica, dove orde di Mods e Rockers si affrontano in una vera e propria battaglia: il film rievoca, così un episodio realmente accaduto e conosciuto come "la battaglia di Brighton" avvenuta nel maggio del 1964. Jimmy è arrestato, in seguito ai disordini, insieme ad "Asso" (in inglese Ace Face, interpretato da Sting), considerato l'idolo dei Mods; un ragazzo dallo stile perfetto con uno scooter invidiato da tutti.

E' il 1979 quando nei cinema esce "Quadrophenia", film tratto dal celeberrimo e omonimo doppio album degli Who, che ne è anche la colonna sonora principale.
La band inglese The Who produsse questo film facendone il manifesto di una generazione di cui era massimo punto di riferimento culturale: ne risulta un'apologia nostalgica avvincente, un crudo spaccato della generazione inglese degli anni ’60.

Celebrazione della mod-generation, ma anche suo crepuscolo, proprio nel momento in cui in Inghilterra Paul Weller e lo ska/rocksteady ne proponevano un revival.
In realtà, però, Quadrophenia è anche qualcosa in più di un semplice film manifesto: risente molto infatti dell'eredità del Free Cinema inglese, di quel movimento di rinnovamento che scosse la tradizione del cinema britannico alla fine degli anni cinquanta, come molte altre nouvelle vagues sparse qua e là per il mondo.
Come i film di Lindsay Anderson, Tony Richardson e Karel Reisz, l'opera degli Who ostenta uno sguardo acuto sulla parte suburbana della città e sulla condizione della classe operaia: i suoi protagonisti fanno tutti lavori umili, non hanno futuro, e vivono ai margini della Swinging London publicizzata dal cinema ufficiale.
Lo stile di ripresa è molto libero, si limita a seguire il protagonista con primi piani e piani medi, nel suo percorso di maturazione attraverso amori infelici, scontri con la banda rivale dei rockers, corse in Lambretta, fino alla maturazione, alla disillusione e alla presa d'atto che anche essere un mod, alla fine non è un granchè. Si concede qualche licenza poetica con campi lunghi che lo isolano nel contesto e ne mostrano la solitudine, specialmente nel finale in cui Jimmy scopre che tutto quello in cui aveva creduto, per i suoi compagni mods, era solo un gioco.
Come ogni film generazionale, anche Quadrophenia è inevitabilmente pervaso di malinconia.


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sabato 16 gennaio 2010

Brother


REGIA:
Takeshi KITANO

PRODUZIONE: U.S.A./Jap/Gb - 2000 - Dramm.

DURATA: 110'

INTERPRETI:
Takeshi Kitano (Beat Takeshi), Omar Epps,
Claude Maki, Masaya Kato, Ren Osugi

SCENEGGIATURA: Takeshi Kitano

FOTOGRAFIA: Hitoshi Takaya

SCENOGRAFIA: Norihiro Isoda

MONTAGGIO: Takeshi Kitano - Yoshinori Ota

COSTUMI: Yohji Yamamoto

MUSICHE: Joe Hisaishi


La storia di Yamamoto, membro della Yakuza, a cui è stata sterminata la famiglia in Giappone dalle bande rivali, che decide di andare in America a trovare suo fratello Ken, arrivato negli States per motivi di studio, diventato nel frattempo piccolo spacciatore di droga. L'imperscrutabile Yamamoto, pur non conoscendo una sola parola d'inglese, decide di unirsi al fratello e al suo clan, per assumere il controllo del traffico della droga a Los Angeles. Il potere della nuova famiglia, da lui costituita, viene però fortemente contrastato dalle altre associazioni mafiose della città. Inizia una vera e propria guerra tra i clan.

Trionfo dell'ortogonalità, scoppio dello statico di contro alla "metafisica della velocità che elimina il pittoresco naturale ", afflusso del fisico, questo porta Kitano a Los Angeles. Quadri fissi panoramicano sul vetro-metallo postmoderno meglio di qualunque ripresa aerea ("The Million Dollar Hotel" di Wenders) sui grattacieli, sulle luci verdi e grigiazzurre dei loft. Il sentimento ha le lettere sbavate di BROTHER, o l'ideogramma della morte composto nel sangue con cadaveri sul parquet della palestra-ufficio; a legare i poveri burattini di Kitano, oppressi dalla loro stupidità ed arroganza, resistono rituali feudali da bushido, la cerimonia dell'accettazione con i fogli di carta di riso lindi e perfettamente disposti, i movimenti stilizzati della cessione della propria vita, il sorseggio del sakè benedetto, mignoli tagliati, sventramenti autoinflitti senza gemiti. Degli uomini resistono le pulsioni infantili, l'unione appunto avviene nel gioco, nel barare scherzoso ai dadi: di fronte all'oceano Pacifico, la stessa acqua, quindi la stessa vita e la medesima morte, gli stessi uomini, si rincorre una palla da football, ci si libera dal timore della solitudine sancendo la solidarietà del gruppo, l'unica cellula accettabile.
Il contrasto tra due culture (non si badi allo stupro del doppiaggio: nell'originale le due lingue coesistono) è nell'espressione: la logorrea americana, cialtronesca vive di sghignazzi contro i silenzi accigliati dei japs riassunti in Beat Takeshi con il suo riso di sospiro; uguali i pensieri.
La necessità che regola i rapporti mafiosi porta alla guerra spietata, un bagno si sangue, luminescente tripudio di flash esplosi da mitra e pistole automatiche, ad illuminare una sequenza di ultimi istanti, riflessi sulle nere limo. Aniky non accetterà l'ultima sfida, ne è sempre stato cosciente, "moriremo tutti" sentenzia, non conta. Morta la sua donna, in modo atroce, gli resta solo un amico, Dennis e fa in modo di salvarlo, è sua la fine nel sangue, sua l'oscena esistenza di brutalità inutili e ritualizzate che deve terminare: steso disarticolato come un eroe del bunraku , grottesco ed immerso nel suo sangue. Una gru a salire oltre il tetto del diner (Welles?), riporta alla vita ed al ricordo di un amicizia strampalata, nelle parole e negli occhi lucidi di chi vivo non sa cosa fare di sé e copre la sua solitudine di parole.
Un'altra figura di yakuza si aggiunge nella filmografia di Kitano, con i toni questa volta del marrone e del grigio, lontano dallo sfavillio di "Sonatine" e "Hana-Bi" ma con il medesimo senso della messa in scena e con la stessa poetica: nell'atroce esistenza senza significato di una pedina può sgorgare l'emozione così come da una sanguinosa sparatoria, su di un muro blu, spuntano purpurei fiori di loto.

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giovedì 7 gennaio 2010

Persepolis

REGIA:
Marjane SATRAPI, Vincent PARONNAUD

PRODUZIONE: Francia - 2007 - Animazione

DURATA: 95'

PERSONAGGI:
Marjane (Paola Cortellesi), Madre di Marjane (Licia Maglietta), Padre di Marjane (Sergio Castellitto), Nonna di Marjane (Miranda Bonansea), Zio di Marjane (Angelo Maggi), Marjane bambina (Angelica Bolognesi)

SCENEGGIATURA: Marjane Satrapi - Vincent Paronnaud

ART DIRECTOR: Marc Jousset

MONTAGGIO: Stéphane Roche

COSTUMI: Marisa Musy

MUSICHE: Olivier Bernet

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Dal 1978 ad oggi, l’autobiografia di Marjie si lega alla Storia moderna dell’Iran: da piccola è spettatrice della caduta dello scià seguita dalla repressiva Repubblica Islamica; poi viene mandata dai genitori a studiare a Vienna.

Lungometraggio di animazione, spunto di riflessione morale e politica, Persepolis è un film emozionante e coinvolgente, adatto ad una fascia di pubblico estremamente ampio (dai bambini ai centenari). La fumettista Satrapi e Parannoud riescono a conciliare tematiche drammatiche con uno stile vivace e frizzante, che fa camminare in parallelo la tragicità di alcuni fatti narrati ad una vena di esuberante ironia. Attraverso il racconto dell’infanzia, dell’adolescenza e dell’età adulta di Marjane, Persepolis si fa portavoce della storia di un Paese continuamente martoriato da conflitti e regimi dittatoriali, e le tristi vicende di un popolo si intrecciano con quella di una bambina piena di vita e di desideri, capace di cercare e trovare il lato positivo in ogni situazione e circostanza. L’Iran, così come poi l’Austria e in seguito la Francia, diventano le ambientazioni perfette per delineare i diversi stati d’animo che corrispondono alle questioni umane che Marjane e la sua famiglia si ritrovano a fronteggiare nel corso degli anni. Persepolis non è solo un “romanzo di crescita”, ma è l’appassionata epopea di un popolo e di una società. Con delicatezza e spigliatezza, il film racconta il serrato succedersi di diverse privazioni imposte dal regime dittatoriale iraniano: dall’imposizione del velo per le donne, alla censura dell’arte e della musica, alla proibizione del consumo di alcol Persepolis passa in rassegna tutti quegli elementi che hanno fatto sì che la vita in Iran diventasse sempre più pesante. Non bisogna però illudersi che la Satrapi e Parranoud scelgano di raccontare una storia a senso unico volta solo ad evidenziare i difetti e i problemi di una vita sotto un governo totalitario: nel corso della narrazione infatti vengono sbalzati e definiti i contorni anche di una società occidentale poco pronta all’accoglienza, apparentemente comprensiva salvo poi rivelarsi chiusa nelle barricate dei luoghi comuni e del pregiudizio. Marjane si trasforma così in un’eterna straniera: sebbene il mondo arabo con le sue imposizioni le vada stretto, la ragazza non si sente a suo agio, e tanto meno compresa all’interno delle salde roccaforti europee. Con disegni semplici, dai tratti netti ed espressivi, Persepolis fa da narratore ad una vicenda moderna e contemporanea appassionante e drammatica, senza piombare nel tedio. Al contrario è facile divertirsi e affezionarsi alla figura di Marjane, ragazzina intelligente, ribelle, con la passione per la politica e la musica. Un lungometraggio animato coraggioso, affrontato con l’ironica saggezza di chi riesce a destreggiarsi nelle varie situazioni con il sorriso sulle labbra, fra il fumo di una sigaretta e il nodo di un chador.

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