giovedì 24 dicembre 2009

The believer


REGIA:
Henry BEAN

PRODUZIONE: U.S.A. - 2001 - Drammatico

DURATA: 100'

INTERPRETI:
Ryan Gosling, Billy Zane, Theresa Russell, Summer Phoenix, Glenn Fitzgerald, Garret Dillahunt

SCENEGGIATURA: Henry Bean
(da un soggetto di Mark Jacobson)

FOTOGRAFIA: Jim Denault

SCENOGRAFIA: Susan Block - Carrie Stewart

MONTAGGIO: Mayin Lo - Lee Percy

COSTUMI: Alex Alvarez - Jennifer Newman

MUSICHE: Joel Diamond


"The Believer" è la storia vera di Danny Balint, ebreo e neonazista. La metamorfosi dell’esistenza del giovane è narrata dal regista Harry Bean. Danny sin da fanciullo ha ravvisato nello studio della Torah (La Legge ebraica: la parola di Dio) una contraddizione: e cioé che la condizione ebraica è destinata (sheol: destino), perché apolide, a soccombere sempre, a vivere quindi di pietismo, e a dover assimilare le coordinate commerciali dei paesi in cui errando passano gli ebrei. A questa schiavitù – a detta di Danny – morale ed esistenziale, Danny reagisce diventando un neo-nazista: partecipa a convegni sino a divenire personaggio di spicco dellla "White Power" americana. Ma quando ritroverà tra le sue mani le parole di Dio, la contraddizione vivente che lui stesso incarna diviene puro sacrificio.

L'intelletto, una marcata sensibilità e l'abilità dialettica possono mascherare la verità a noi stessi e agli altri, sposare la negazione di ciò che amiamo trasportandoci, in un moto romantico, verso la distruzione di ciò che siamo impossibilitati a nutrire. L'odio è ingiustificato ma ha radici ben visibili: l'esordiente Bean (sceneggiatore di AFFARI SPORCHI e NEMICO PUBBLICO) le passa in rassegna in modo provocatorio, rendendole al contempo pericolosamente condivisibili e palesemente assurde. Il "Nulla senza fine" contestato dal suo protagonista (l'ottimo Gosling, gemello dell'Edward Norton di AMERICAN HISTORY X) è quello di un vuoto esistenziale dato dall'astrazione dal contesto che, facilitato dalla paura e la sottomissione, arriva a deificare l'immaterialità degli scambi e il denaro. Tesi: il popolo eletto, senza terra, sradica le genti e le culture con cui viene a contatto e colonizza il modus vivendi occidentale. D'altra parte, l'antisemitismo è un facile strumento per unire nell'odio. L'apologo morale di Bean, però, non tocca solo la questione semita, disquisisce sul Male tout-court, nega che sia un'entità a se stante, in quanto tenebra in assenza di luce, angelo caduto, Lucifero cullato nel Bene, sofferenza sepolta, voce amica e disperata, superba, emarginata, incattivita. La sua riflessione consuma gli ultimi stereotipi sedimentati nella coscienza collettiva, guarda dal di dentro con un espediente paradossale ma emblematico (un ebreo tramutato in perfetto naziskin), ha la sfrontatezza di sgretolare il tabù che ha rimosso il fenomeno dell'odio di razza con la comoda e sterile stigmatizzazione del movimento nazista, cerca l'incontro fra vittime e carnefici, mostra la contraddittorietà del rinnegato in cerca di consenso. Le seducenti argomentazioni di Danny mostrano la corda nel momento in cui cercano la via di fuga nella violenza, tallone d'Achille delle ideologie malsane. Bean accompagna il suo protagonista verso l'espiazione, ma ne registra anche il percorso stoltamente coerente: è un uomo che rifiuta il compromesso e pone domande che, in assenza di risposte assolute, converte in pugni chiusi. Per assurdo, arriva ad incarnare ciò che più odia nella sua razza: il settarismo, il vittimismo, l'intransigenza, la superbia, l'ipocrisia della dicotomizzazione (carne/spirito) che sfocia nella contaminazione. Il Credente Addolorato incarna il percorso umano che, agnostico, "deve" percorrere la Scala al Paradiso, a rischio di trovarlo vuoto.

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