mercoledì 23 dicembre 2009

Berlinguer ti voglio bene (ciao duca!!)


Fotografia: Renato Tafuri
Produzione: A. MA FILM
Distribuzione: EURO
Paese: Italia 1977
Genere: Commedia
Durata: 90 Min
Formato: Colore PANORAMICO COLORE

Mario Cioni è un sottoproletario, prigioniero della figura della mamma dalla quale non riesce a staccarsi (quasicché fosse in preda a complesso edipico) e schiavo di una società miserabile dalla quale subisce modelli di comportamento, sfruttamenti e ideologie. Le sue ribellioni sono soltanto verbali e non redimono le sue molte inibizioni e frustrazioni. Anche il sesso, onnipresente nel suo linguaggio e nelle sue fantasie è una sorta di inutile rivalsa: quando Marte ed Ester gli danno un passaggio e dimostrano di essere due ragazze emancipate e pressoché "a portata di mano", il Cioni usa timidamente il "lei" e tutto finisce lì. I compagni alla balera gli fanno lo scherzo di chiamarlo a casa per la morte della madre e lui rimane folgorato. A causa di un debito di gioco, l'amico Puzzone pretende fare l'amore con la madre: nasce l'affiatamento, forse l'amore. Mario recalcitra, ma forse accetta la nuova realtà.

Nella sua casa sull'Appennino Giuseppe Bertolucci ospita Roberto Benigni. Per 5 giorni si chiudono in una stanza. Le pareti sono tinte di rosa, la porta-finestra offre il verde di un grande prato in salita. Benigni parla, Bertolucci ascolta. Ascolta e scava, e raccoglie. Benigni è una miniera inesplorata, una eruzione linguistica, un "flusso di ossitone e di tronche". Bertolucci scopre un mondo: "l'universo suburbano della provincia toscana, rossa, contadina, sottoproletaria e genitale". E' il mondo di Cioni. Un anno più tardi, dicembre 1975, Roberto porta il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia in teatro (l'Alberichino), a Roma. Nel 1977 esce il film Berlinguer ti voglio bene

Attenzione: alcune battute contengono un sacco di parolacce.

E’ l’ARANCIA MECCANICA becera nostrana, VM 18 per i turpiloqui che la contraddistinguono, insieme a bestemmie, squallore sessuale e dissacrazioni varie. Come nel film di Kubrick, l’oscenità non è gratuita ma sintomo di una condizione di malessere, espressione viva di un sottoproletariato contadino/provinciale senza soldo e fica, incazzato e messo alle corde, abbandonato dal cinema dopo Pasolini (padre putativo della pellicola). Il fratello minore di Bernardo e il comico toscano Benigni esordiscono al cinema con un feroce ciclone nella stantia produzione italiana e l’alchimia è memorabile: irrefrenabile, volgarissimo, sconclusionato Benigni; più lirico, portato a dare senso Bertolucci, abile nell’incanalare questa forza della natura senza erigere argini troppo alti, lasciandola libera di esprimere la sua geniale trivialità. A Bertolucci si deve il merito di aver valorizzato per primo quella che diventerà una gloria nazionale (più edulcorata): per lui scrisse, nel 1975, il monologo "Cioni Mario fu Gaspare di Giulia" con il personaggio che approdò in Tv ("Onda Libera", 1976) e qui al cinema. La giustapposizione stravagante di due personalità opposte diventa anche stilema cinematografico: in apertura, Bertolucci parte con un carrello in avanti e osserva divertito i manifesti cinematografici di una provincia innamorata dei soft-core, gioca di classe con l’equivoco di un vecchietto che spara, compone una raffinata comicità surreale, osserva gli astanti con passo ponderoso ed illuminante; poi irrompe Roberto, squarcia la tela con "Cacca, piscia e merda". I due si riconciliano con il carrello, stavolta all’indietro, che vede uscire il protagonista e poi, lateralmente, lo segue in un infinito sproloquio di sozzerie incredibili che chiosano l’amara poesia dell’opera. Mentre Cioni continua a parlare di seghe, alle prese con una mamma asfissiante, ammiratore del Berlinguer-spaventapasseri (celebre il vero incontro fra Benigni e Berlinguer al festival dell’Unità, quando il primo tentò di prendere il secondo in braccio), imitatore assatanato di Charlot (la sequenza muta in cui canzona la zoppa), il regista sciorina allusioni politiche, sociali e religiose con la Casa del Popolo, il femminismo, il parallelo fra prima masturbazione spontanea e Comunismo (entrambi indicano la via, poi c’è da godere!), l’asserzione che Dio esiste solo per i felici e il romanticismo è impossibile nei bassifondi (la poesia d’amore declamata alla madre con il sottofondo di un latrato di cani). Encomiabile il coraggio di Alida Valli nell’aver accettato il ruolo: Bertolucci e Benigni non si preoccupano certo di trombare anche la mamma: se il cazzo chiama!

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