giovedì 24 dicembre 2009

Memento

REGIA:
Christopher NOLAN

PRODUZIONE: U.S.A. - 2000 - Thriller

DURATA: 116'

INTERPRETI:
Guy Pearce, Carri-Ann Moss, Joe Pantoliano,
Mark Boone Jr., Stephen Tobolowsky, Callum Keith Rennie, Harriet Sansom Harris

SCENEGGIATURA: Christopher Nolan
(da un romanzo breve di Jonathan Nolan)

FOTOGRAFIA: Wally Pfister

SCENOGRAFIA: Danielle Berman

MONTAGGIO: Jenifer Chatfield

COSTUMI: Cindy Evans

MUSICHE: David Julyan


Leonard Shelby veste costosi abiti firmati e guida una vecchia Jagua, ma vive in economici e anonimi motel che paga in contanti con un rotolo di banconote. Sebbene abbia l'aspetto di un uomo d'affari di successo, il suo unico scopo è la vendetta: trovare chi ha violentato e ucciso sua moglie. Una ricerca resa ancora più difficile dall'incurabile e rara forma di amnesia di cui Leonard soffre: mentre ha alcuni ricordi della vita precedente la disgrazia, gli è impossibile ricordare quello che gli succede quindici minuti prima, dov'è, dove sta andando e perché.


Fotografie, annotazioni, tatuaggi, mappe, targhe, vestiti, armi.
Leonard ha bisogno di oggetti concreti. Per ritrovare l'assassino di sua moglie, ma soprattutto per non naufragare nel mare delle voci, dei pensieri, delle illusioni che assediano la sua mente, il nostro uomo ha deciso di registrare ogni dettaglio, prima che l'amnesia di cui soffre lo costringa a ripartire da zero, ogni quindici minuti.
Sulla carta lo spunto del film è, in un certo senso, degno di Peter Greenaway: la vita come catalogo di elementi eterogenei, il gusto della scrittura, il corpo come volume del mondo. Ma non c'è traccia, nel film, del gioioso "enciclopedismo barocco" dell'autore dei Racconti del cuscino: il catalogo non è esaltato, anzi.
Strutturato come un canonico "thriller di vendetta", Memento chiama in causa tutti gli stereotipi (i "fatti") del caso e si diverte a metterli alla prova, tentando di evidenziarne la fragilità, o almeno la natura puramente convenzionale. Si alza il sipario, ed ecco il detective solitario, l'ignoto assassino, l'amico che gli fa da "spalla", la bella di turno: le maschere di genere reggono ancora benissimo. Per infrangerle definitivamente, il regista alza il tiro: non è più sotto inchiesta solo il noir, ma l'intera narrazione cinematografica.
A parte illuminanti eccezioni (Lynch, il Tarantino di Pulp Fiction), tutti (spettatori e, quel che è più grave, registi e sceneggiatori) sembrano dare per scontato che un film debba procedere "dall'inizio alla fine", cioè dall'evento cronologicamente più lontano a quello più recente: in questo quadro i flashback sarebbero l'eccezione che, non si sa come, conferma la regola.
Christopher Nolan, sagacemente, parte dal genere cui è permesso usare ed abusare di tali espedienti "eccezionali" per scardinare l'idea stessa di tempo "regolare", concependo il suo film come un ininterrotto flashback, a sua volta collegato ad un monologo telefonico del protagonista, impegnato in una (ulteriore) rievocazione. (Fra parentesi, l'interminabile telefonata ricorda La voce umana di Cocteau, anche nell'avversione provata da Leonard per il mezzo di comunicazione che è costretto ad usare.)
Man mano che la storia va avanti (o meglio, indietro), le maschere si sgretolano, i sipari si dissolvono, si affaccia la verità. Ma quale verità? Che senso ha parlare di "reale", di "fatti", di "verità" in un mondo che non esiste se non nella nostra mente? Se siamo noi a dare continuità al mondo, non in virtù della nostra personalità (o della memoria) ma della nostra percezione, istante per istante, allora non ha senso distinguere tra passato e presente, vero e falso, fatto e sogno (o menzogna).
"Io dico di amare e mi si crede", afferma la protagonista dell'ultimo film di Chabrol. La vertigine suprema non è la perdita di memoria, o l'impossibilità di ricordare un particolare evento, ma la capacità di falsificare consciamente la nostra percezione del mondo e, poi, dimenticare di averlo fatto. Lo ha capito e messo in scena John Carpenter, nel magnifico Seme della follia: non ci sono mostri più spaventosi di quelli creati dalla nostra mente, perché non possiamo difenderci da noi stessi. Per quanto siano "reali" i fatti, è l'interpretazione a vincere la partita.

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